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UZBEKISTAN - (2008) di Carla Polastro

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Asia Centrale: da Alessandro ai Khan in Battriana, Sogdiana e Corasmia

Viaggio in Uzbekistan, Tagikistan, Turkmenistan di Carla e Gianluca

Diario di Viaggio 12-24 giugno 2008

 

Giovedì 12 giugno 2008:

 

Devo ammettere che il primo impatto con l'Uzbekistan non è stato dei più incoraggianti. Dopo sei ore di volo da Fiumicino su di un vecchissimo Boeing 757 dai sedili mezzo sfondati delle Uzbekistan Airways, ce ne vorranno altre due per passare i controlli passaporti e doganali, il tutto in un microclima da serra tropicale!:-(

 

All'esterno dell'aerostazione, pur essendo le 22 passate, la temperatura e il tasso d'umidità non sono, purtroppo, molto diversi... Entrare una mezz'oretta più tardi nella fresca hall dell'Hotel Dedeman Silk Road, nel centro di Tashkent, ci fa sentire come naufraghi che hanno finalmente toccato terra...

 

La “tregua” sarà comunque di breve durata, visto che fra meno di nove ore saremo nuovamente in aeroporto, per volare verso Termez, nell'estremo sud del Paese, al confine con l'Afghanistan.

 

Venerdì 13 giugno 2008:

 

Alle 9,05 decolliamo alla volta di Termez a bordo di un antidiluviano Antonov 24 delle (indovinate un po') Uzbekistan Airways, che detengono il monopolio dei voli interni.

 

Voliamo abbastanza bassi da poter ammirare il panorama sottostante, in particolar modo i Monti Fan, estremità occidentale del Pamir. Le cime innevate, che si stagliano nettissime contro il cielo perfettamente sereno, sono davvero magnifiche!

 

Atterriamo poco dopo le 10,30 e scendere sulla pista (costellata di velivoli della Luftwaffe; dal 2002 è di stanza qui un contingente tedesco della Nato) è come entrare in un forno, gasp!

 

Caricati i bagagli sul pullman, in una ventina di minuti raggiungiamo il nostro albergo, l'Hotel Meridian, di costruzione recente. A me e a Gianluca, del tutto casualmente, viene assegnata una spaziosa suite (mai che qualcosa del genere capiti in un Ritz-Carlton:-)), al quarto piano.

 

Poco dopo le 14,30 lasciamo l'albergo e in pochi minuti di pullman raggiungiamo il Museo Archeologico, lungo la via principale della città (Al-Termizi 29), e ricco di reperti di alto livello (alcuni di essi, però, sono copie; gli originali li vedremo il 24 giugno al Museo Storico del Popolo dell'Uzbekistan di Tashkent). La visita è interessantissima, e solo le avvincenti ed esaurienti spiegazioni del  dr. Rossi, organizzatore e accompagnatore culturale di questo tour, riescono a farci sopportare i 35° C (termometro dixit) che regnano nelle sale del museo, inaugurato nel 2001. Pare che l'impianto di aria condizionata sia guasto ormai da sei mesi...

 

Dopo oltre due ore, usciamo boccheggianti dal museo, risaliamo sul pullman e ci dirigiamo verso il confine afghano. E' lì che sorgono, a poche centinaia di metri dal mitico Amu Darya (l'Oxus dei Greci), i resti di uno stupa buddhista del III sec. a.C., in mattoni e alto 16 metri, detto la Torre di Zurmala.

 

E' quasi il tramonto ormai. La morbida luce del sole che cala nel cielo limpido, solcato dal volo di stuoli di rondini, accende di rosa intenso le mura di Kyrk-Kyz Kala (“delle 40 fanciulle”, X sec. d.C.), forse un ostello per donne seguaci del Sufismo, forse residenza di campagna della dinastia samanide. Le mura esterne, come sempre in mattoni crudi, sono in ottimo stato di conservazione, e l'intero complesso possiede una notevole imponenza e un certo fascino.

 

Sabato 14 giugno 2008:

 

Al nostro risveglio, ritroviamo la città immersa in una violenta tempesta di sabbia che arriva dall'Afghanistan. Il cielo è uniformemente grigio, gli alberi sembrano doversi spezzare da un momento all'altro, piegati quasi a 90° dal fortissimo vento.

 

Poco dopo le 9 ci mettiamo in marcia. Siamo diretti a una trentina di chilometri da Termez, ove sorgono gli affascinanti resti della greca Pandokeion, uno degli insediamenti voluti da Alessandro Magno lungo l'Oxus/Amu Darya, poi conquistati dai Kushani poco prima dell'era volgare. Il sito è attualmente noto come Kampyr Tepe e si trova in posizione assai suggestiva. Per il momento è stata ricostruita una piccola frazione delle mura di cinta, quel che basta, tuttavia, a dare un'idea della cittadella nelle sue forme originali.

 

Nelle vicinanze del sito ci attende, però, una sgradita sorpresa. Nessuno, e  men che meno il dr. Pietro Rossi, si è preso la briga di controllare che il pullman potesse arrivare fino alle rovine. Vien fuori che non può, a causa di un cavalcavia ferroviario troppo basso... Pietro non si scompone, e senza aver mai messo prima piede in questo luogo in vita sua, ci rassicura dicendo che il sito “è subito lì”. Le ultime parole famose: il “subito lì” si traduce in più di due chilometri di strada. Il “bello” sarà ripercorrerli alla fine della visita, col sole a picco. Nel gruppo serpeggia già aria di ammutinamento. E siamo solo all'inizio...

 

Nel pomeriggio, dopo aver pranzato ed esserci riposati un po' in albergo, torniamo una seconda volta al Museo Archeologico, il cui amabilissimo direttore, che già ci aveva accompagnati a Kampyr Tepe la mattina, ci fa visionare i bei reperti esposti in un colonnato che corre intorno all'edificio e che è normalmente chiuso al pubblico. Il pezzo che ci colpisce maggiormente è senza dubbio un leone in pietra, di chiara impronta persiana.

 

Salutato e ringraziato calorosamente il direttore del Museo Archeologico, risaliamo in pullman per raggiungere la nostra prossima meta: i resti del monastero buddhista di Fayaz Tepe, dove svetta un grande stupa del I-III sec. d.C. I lavori di conservazione e restauro sono stati sponsorizzati dall'Unesco e dal Japan Fund-in-Trust for the Preservation of World Heritage. All'ingresso del sito è stato creato un piccolo ma interessante museo. Anche qui sono state esposte delle copie dei reperti più importanti, mentre gli originali - fra i quali i frammenti di un affresco e un delicato bassorilievo raffigurante Buddha con due monaci - sono conservati al già citato  Museo Storico del Popolo dell'Uzbekistan di Tashkent.

 

A breve distanza da Fayaz Tepe, proprio sul confine afghano, visitiamo il veneratissimo mausoleo di Khadim al-Thermezi, filosofo e matematico vissuto nell'VIII sec. Mausoleo sorto su un santuario buddista anteriore e circondato da un piacevole giardino fiorito.

 

A qualche metro di distanza, a strapiombo sull'Amu Darya, si staglia la massa informe di quella che fu l'acropoli dell'antica Demetria, avamposto militare ellenistico fondato all'inizio del II sec. a.C. dal re greco-battriano Demetrio, e distrutto da Gengis Khan nel 1220.

 

Il filo spinato che delimita la terra di nessuno tra l'Uzbekistan e l'Afghanistan è punteggiato da cartelli con l'immagine di una macchina fotografica con una X sopra e la scritta, a caratteri cubitali, “impossible”, anziché “forbidden”.:-)

 

Domenica 15 giugno 2008:

 

Poco dopo le 8 del mattino lasciamo Termez e saliamo verso i Monti Hissar, continuando a seguire le tracce del passaggio di Alessandro Magno, fino alle cosiddette “Porte di Ferro”, fortificazioni al confine tra Battriana e Sogdiana, fatte erigere dal conquistatore macedone (e ancora in uso in epoca kushana e poi medievale) e che sono ancora quasi completamente da scavare.

 

Il luogo è di grandissima suggestione: un “nido d'aquila” di rocce scure e terra rossa, sullo sfondo smagliante di un cielo azzurrissimo. Non è affatto difficile lavorare un po' di fantasia e immaginare le fortezze che secondo diverse fonti si trovavano qui e che furono espugnate dai più agili e astuti tra i soldati di Alessandro...

 

Intorno all'ora di pranzo, arriviamo a Shakhrisabz, la “città verde” che diede i natali a Tamerlano. Nel primo pomeriggio visitiamo, nel complesso funerario del Dorut Tilyavat, quella che avrebbe dovuto essere la sua tomba, se non fosse improvvisamente morto di polmonite, in pieno inverno, a Samarcanda. Non prima, però, della “sosta d'obbligo” davanti ai resti del monumentale portale d'ingresso del suo palazzo d'estate, l'Ak Saray. Come vuole la tradizione, una giovane coppia di sposi si fa fotografare davanti alla statua dell'Emir Tamur.

 

Di lì a poco, visitiamo il Kok Gumbaz (“cupola blu”, 1438), la Moschea del Venerdì fatta costruire dal nipote di Tamerlano, Ulugbek, con il suo delizioso cortile pieno di fiori e alberi.

 

Essendo i passi di montagna chiusi ai pullman, per raggiungere Samarcanda prendiamo la strada in pianura, che passa da Qarshi e dalla quale si scorgono le ultime propaggini del Pamir.

 

Arriviamo a destinazione nel tardo pomeriggio e scendiamo all'Afrasiab Palace Hotel, proprio di fronte al mausoleo di Tamerlano, il Gur-Emir (1401), che sarà piacevolissimo visitare subito dopo cena, per poi riposarsi su una delle panchine del cortile, con le fronde degli alberi appena smosse da una leggera brezza, deliziosamente fresca dopo la gran calura del giorno.

 

Lunedì 16 giugno 2008:

 

La mattinata è dedicata alla scoperta del sito di Afrasiab, l'antica Marakanda, capitale della Sogdiana, dove, in un impeto d'ira, Alessandro uccise il compagno Clito.

 

Abbiamo trovato di grande interesse il museo annesso alle rovine, che conserva, tra gli altri reperti, i frammenti di squisiti affreschi risalenti al VII sec. d.C. e provenienti da una residenza del re Varkhuman.

 

Subito prima di pranzo, visitiamo ciò che resta dell'osservatorio di Ulugbek, all'interno di un incantevole giardino pubblico.

 

Nel pomeriggio, è la volta dei monumenti più significativi della Samarcanda timuride: dalla magnifica necropoli del Shahi Zindah (XIV-XV sec.), alla grandiosa ma fatiscente Moschea del Venerdì, Bibi Khanym (fine XIV sec.), voluta da Tamerlano in onore della consorte cinese, al celeberrimo Registan (XV-XVII sec.), complesso monumentale dalla straordinaria armonia, è tutto un trionfo di forme imponenti, di ceramiche dai colori accesi, di decorazioni sontuose...

 

Dopo cena, ammiriamo il Registan dall'alto, dal bar al 7° piano del nostro albergo. Domani ci attende l'escursione in Tagikistan...

 

Martedì 17 giugno 2008:

 

Nel giro di un'ora e mezza circa varchiamo la frontiera tra Uzbekistan e Tagikistan. Nutik, la nostra guida uzbeka, non ha potuto ottenere il visto e quindi rimarrà a Samarcanda. Appena messo piede in Tagikistan, incontriamo le nostre due guide locali, che non parlano l'italiano. Il problema è che - incredibile ma vero - il dr. Rossi non parla inglese... Vengo prontamente cooptata come “interprete ufficiale” (“once an interpreter, always an interpreter”, apparentemente:-)), mentre percorriamo la bella valle dello Zerafshan in direzione di Penjikent, dove visiteremo i resti dell'antico insediamento sogdiano. Ma a pochi chilometri dal confine, ci fermiamo per una visita fuori programma al sito preistorico di Sarazm, fiorentissimo centro commerciale dell'Età del Bronzo. Fra i ritrovamenti più importanti, a sottolineare l'importanza economica e politica di Sarazm, si registra quello di una tomba principesca, dove erano stati sepolti una ragazza di circa vent'anni (una principessa, appunto) dall'opulento corredo funebre, e altre due persone più o meno sue coetanee, probabilmente dei servitori.

 

Il minuscolo museo conserva bronzi, ceramiche, utensili, armi e gioielli di notevole raffinatezza, di fattura locale o importati a Sarazm dai quattro angoli del continente asiatico (mentre venivano esportati oro e argento), a ulteriore conferma del suo ruolo di primo piano nella rete di scambi commerciali attiva tra il 4° e il 2° millennio a.C.

 

Intorno a mezzogiorno raggiungiamo i resti dell'antica Penjikent. Resti che si trovano in posizione sopraelevata, con i monti Fan e Turkestan a fare da sfondo, e il grande fiume giù in basso. Anche qui non possono mancare le tracce di un tempio zoroastriano e quelle di una cittadella, un tempo collegata al resto dell'abitato da un ponte in legno.

 

Gli affreschi riportati alla luce in epoca sovietica, così come altri importanti reperti, sono conservati nei musei di Tashkent e di San Pietroburgo. Nel piccolissimo museo in situ sono esposte foto a grandezza naturale di alcuni di questi affreschi e qualche reperto di minor rilievo.

 

Il Museo Rudaki (intitolato al grande poeta persiano, di cui Penjikent rivendica i natali), nella parte moderna della città, è chiuso per lavori di ristrutturazione. Dovrebbe riaprire in settembre.

 

A metà pomeriggio torniamo in Uzbekistan, per una delle visite senz'altro più interessanti del viaggio, quella al sito di Kafir Kala (Fortezza degli Infedeli, VI-XII sec. d.C.), nel villaggio di Bogev, nella verdissima Valle di Gunt, ricca di vigneti, poco a sud di Samarcanda. Il motivo di questo interesse è presto detto: a Kafir Kala sta scavando un'équipe dell'Università di Bologna, diretta dal ravennate Simone Mantellini. E' davvero un'emozione indescrivibile stare ad ascoltare le sue spiegazioni, percepire la grande passione che nutre per il suo lavoro... Dalle sue parole, più ancora che da ciò che abbiamo davanti agli occhi, vediamo emergere i molteplici strati della fortezza, ripercorriamo la sua storia secolare. Per la prima volta in vita nostra, le mani che ci mostrano alcuni incantevoli reperti riportati alla luce durante gli scavi più recenti (v. relative foto) sono proprio quelle che li hanno trovati!

 

Per saperne di più sugli scavi in corso a Kafir Kala:

 

http://www3.unibo.it/Archeologia/Uzbekistan/progetto_archeo_sub5.htm

 

Mercoledì 18 giugno 2008:

 

Lasciamo Samarcanda e ci dirigiamo verso ovest, lungo la Valle dello Zerafshan. Oltrepassata Navoi, in tarda mattinata arriviamo alle remote Gole del Sarmysh. E' un luogo davvero molto bello, pieno di verde e di ... incisioni rupestri (ne sono state censite circa tremila, che vanno dal Neolitico all'Alto Medioevo): grandi bovidi, stambecchi, scene di caccia e di culto, figurine armate... Quando il caldo si fa insopportabile, mi rifugio all'ombra di un albero, dove scorre un limpido ruscelletto.

 

Per pranzo, facciamo un picnic in un boschetto a qualche chilometro dalle Gole. Squisiti gli spiedini cotti sulla brace! Credo che non dimenticherò mai, dell'Uzbekistan, il gusto dei  pomodori, delle albicocche, delle ciliege... Una vera delizia!

 

Intorno alle 17 arriviamo alla città santa di Bukhara, dove alloggeremo all'Hotel Asia, di fronte alla Maghoki-Attar, la più antica moschea dell'Asia Centrale (XII sec.).

 

Bukhara di notte resterà sicuramente come il ricordo più prezioso di questo viaggio: ne sono rimasta a dir poco folgorata! Le sue moschee e madrase immerse nella luce perlacea della luna piena o flebilmente illuminate da rari lampioni. o che si rispecchiano nella grande vasca del Lyab-i-Hauz. L'apparizione improvvisa, fiabesca, davanti ai nostri occhi del Poi-Kahlian, la dolcezza dell'aria... Gianluca e io camminiamo piano, in silenzio, mano nella mano, assaporando ogni istante di questo sogno chiamato Bukhara...

 

Giovedì 19 giugno 2008:

 

Le visite del mattino iniziano con un grande capolavoro degli inizi del X secolo, il mausoleo di Ismail Samani, mirabile edificio scampato miracolosamente alle devastazioni mongole. Al di là degli alberi, si intravvedono uno dei pochi tratti delle mura di epoca shaybanide e una porta ricostruita, detta Talli-Pach.

 

Pochi passi ci separano da un altro mausoleo, il Kashma-Ayub (“Fonte di Giobbe”). Al suo interno è allestita una piccola mostra sull'antica rete idrica cittadina.

 

In un paio di minuti, il pullman ci conduce fino all'Ark, la cittadella regale abitata continuativamente dal V secolo al 1920 (allorché venne bombardata dall'Armata Rossa). Al suo interno visitiamo il museo archeologico (troviamo chiuse, però, le sale dove sono conservati i reperti provenienti da Varakhsha, sito che visiteremo l'indomani), il vasto cortile dove avevano luogo i ricevimenti e le incoronazioni, e la Moschea del Venerdì.

 

Lasciata la cittadella, raggiungiamo a piedi il sublime complesso timuride Poi-Kahlian, dove svetta il simbolo stesso di Bukhara, ovvero il minareto fatto erigere nel 1127 dal re karakhanide Arslan Khan, fiancheggiato dalla moschea Kahlian Jummi (1514) e dalla madrasa Mir-i-Arab, anch'essa cinquecentesca.

 

Tornando in albergo, percorriamo i vivaci bazar coperti, nei quali i tappeti, prevedibilmente, fanno la parte del leone, tra le merci esposte.

 

Nel pomeriggio ci spostiamo verso est, fino al villaggio di Kasri Orifon, dove sorge il mausoleo di Bakhautdin Naqshband, haut-lieu del Sufismo e meta di pellegrinaggi da tutta la regione di Bukhara. Naqshband visse nel XIV sec., ma il vasto complesso che ospita, nel cortile principale, la sua semplice tomba, è stato costruito - a varie riprese - tra il XVI e il XX secolo. Vi sono attualmente in corso lavori di restauro.

 

Tornati in città, percorriamo a piedi il dedalo di viuzze tra Pushkin e Hoja Nurabad e visitiamo il Char Minar (“Quattro Minareti”). Si tratta del corpo di guardia di una madrasa del 1807, scomparsa da tempo. I cosiddetti minareti sono, in realtà, torri decorative.

 

Risaliamo in pullman, che ci riporta nella zona del nostro albergo, dove visiteremo la già citata  Maghoki-Attar (“Pozzo dell'Erborista”), che ospita un piccolo museo del tappeto. In un angolo della moschea (che fino al XVI secolo veniva utilizzata anche come sinagoga), scavi hanno riportato alla luce le vestigia di un tempio zoroastriano del V secolo e di un tempio buddhista ancora più antico.

 

Intorno al  Lyab-i-Hauz e alla sua vasca del 1620, ombreggiata da gelsi che hanno più o meno la stessa età, sorgono la madrasa (ex-caravanserraglio) e la khanaka di Nadir Divanbegi e la madrasa di Kukeldash. Il tutto forma un insieme molto gradevole, se si tenta di ignorare i più vistosi aspetti da “trappola per turisti”. Ridateci i vecchietti che giocavano a scacchi, per favore!

 

Venerdì 20 giugno 2008:

 

Alle 8 lasciamo a malincuore Bukhara. O, meglio, tentiamo di lasciarla, poiché fatte poche centinaia di metri, veniamo fermati a un posto di blocco. Nel tardo pomeriggio è atteso l'arrivo di Karimov e già di primo mattino hanno chiuso le vie di accesso/uscita della città. Nutik telefona immediatamente alla corrispondente locale dell'agenzia di Tashkent, la quale, a sua volta, chiamerà l'assessore al turismo di Bukhara, che ordinerà al capo della polizia di lasciarci passare... 45 minuti più tardi possiamo proseguire il nostro viaggio.

 

La prima fermata sarà al sito di Varakhsha, nella valle dello Zerafshan. Insediamento fortificato, al suo interno si ergeva un grande palazzo regale del VII-VIII sec. d.C. Nella sua “Sala Rossa”, l'archeologo Shishkin, fra gli Anni Trenta e Quaranta del Novecento, rinvenne raffinati affreschi a tematica buddhista, attualmente esposti in vari musei uzbeki.

 

Ben presto, il verde rigoglioso della valle dello Zerafshan è solo un ricordo e ci troviamo a percorrere le immense distese sabbiose del Kyzyl Kum. La strada è per buona parte in pessime condizioni (la stanno riasfaltando da più di sei anni, ma senza risultati apprezzabili, direi) e quindi il pullman è costretto ad avanzare a una velocità da lumaca artritica. Quando, poco dopo le 19, arriviamo finalmente a Urgench, sono fortemente tentata di baciarne il suolo!:-)

 

 Il nostro albergo, il Khorezm Palace, è a pochi metri dalla piazza principale della città, Piazza dell'Indipendenza (architettonicamente simile a quella di Tashkent), che, soprattutto di sera, ha un aspetto del tutto surreale. Sembra quasi uscita da un film di fantascienza...

 

Sabato 21 giugno 2008:

 

Finalmente partiamo dall'albergo a un'ora ragionevole, viste le temperature: le 6,30. Trascorriamo il primo giorno d'estate ai margini del Kyzyl Kum, al di là dell'Amu Darya (che attraversiamo grazie a un ponte di barche), fra oasi ben coltivate e zone desertiche, visitando tre fortezze, a diversi livelli di conservazione.

 

La prima, e forse la meglio conservata, è quella di Toprak Kala (III-IV sec. d.C.), dove, fra le altre, si riconoscono le vestigia di un tempio zoroastriano. Parte delle alte mura è ancora in piedi e il colore dei mattoni contrasta magnificamente con l'azzurro intenso del cielo. Migliaia di uccellini vi hanno fatto il nido, e il loro incessante cinguettio mette allegria, nell'aria fresca del primo mattino.

 

Proseguiamo per Koy Kyrylghan Kala, i cui resti sono, però, nettamente meno leggibili. Anche qui, oltre a un forte, si ergeva un tempio del fuoco,  e forse un osservatorio. E' qui che sono state scoperte le iscrizioni più antiche del Paese.

 

L'ultima tappa è Ayaz Kala, con le sue due imponenti fortezze in posizione dominante. Una delle fortezze ospitava un palazzo regale del IV-III sec. a.C., nel quale sono stati addirittura rinvenuti dei semi di uva. Le possenti mura di cinta, in argilla cruda, risalgono invece al IV-VII sec. d.C.

 

Pranziamo in un campo di yurte kazhake a pochi metri da Ayaz Kala e nel primo pomeriggio rientriamo in albergo. Qualche ora di relax, al fresco, è proprio quel che ci vuole!

 

Domenica 22 giugno 2008:

 

Se avevamo creduto che le due ore di attesa all'aeroporto di Tashkent rappresentassero un record, oggi veniamo smentiti alla grande: ci vorranno infatti due ore e tre quarti per passare dall'Uzbekistan al Turmenistan. Una noia mortale!

 

La nostra guida turkmena, Murat, è un uomo di mezz'età, dagli occhi profondamente buoni e gentili. E' visibilmente costretto a rifilarci un grottesco pistolotto sul defunto Niyazov, il presidente talmente megalomane da auto-ribattezzarsi “Turkmenbashi” (“Padre dei Turkmeni”; forse si credeva un emulo di Atatürk...) e sulle sue “magnifiche imprese”.

 

Usciti finalmente dal posto di frontiera, ci dirigiamo verso la cittadina di Dashogus, che può “vantare” ben 48 statue di Niyazov, sulle 1.054 che “adornano” l'intera nazione. Pranziamo alla veloce all'Hotel Uzboy (dal nome del fiume) e proseguiamo per un altro degli “highlights” di questo viaggio: Konye (o Kunya) Urgench (“Antica Urgench”), superba capitale della Corasmia, annientata dalle armate mongole, prima (1219), e da quelle timuridi, poi (1388), quando la città era nel frattempo meravigliosamente rifiorita, diventando il centro commerciale più importante dell'Asia Centrale, nel cuore dell'Orda d'Oro, il più occidentale dei khanati venutisi a creare dopo la morte di Gengis Khan. Grandi intellettuali come  al-Biruni, al-Horezmi e ibn-Sina (Avicenna) studiarono qui.

 

I rari monumenti che sono miracolosamente sopravvissuti a tali ondate distruttive sono di grande suggestione, resi ancora più affascinanti, forse, dalla tragica storia di Konye Urgench.

 

Visitiamo, sotto un cielo perfettamente terso, il Mausoleo di Turabek Khanum, fatto erigere nel 1370 per la figlia del khan uzbeko dell'Orda d'Oro. Al suo interno si rimane colpiti dalle sublimi decorazioni della parte inferiore della cupola (la cui parte esterna è, purtroppo, in condizioni assai precarie), rarissime per un edificio islamico trecentesco.

 

Al di là della strada e di un cimitero moderno, svetta uno dei minareti più alti dell'Asia Centrale, il Kutlug Timur (1320; 64 m.), che è tutto ciò che rimane della moschea di Konye Urgench, alla quale era collegato da un ponte in legno a 7 metri da terra.

 

Poco più in là troviamo il mausoleo (privo della tomba) del sultano Tekesh, decorato con ceramiche blu. Tekesh, che nel XII sec. conquistò le attuali regioni settentrionali dell'Iran e dell'Afghanistan, aveva fatto costruire anche una madrasa e una biblioteca, di cui non è rimasta traccia alcuna.

 

Oltre la Collina dei 40 Mullah (Kirkmolla), dove gli abitanti della città opposero l'ultima, inutile resistenza agli invasori mongoli, si erge la più antica e singolare delle vestigia di Konye Urgench, il mausoleo di Il-Arslan, il padre di Tekesh, morto nel 1172. La sua cupola conica a 12 lati, dalle decorazioni a zig-zag, fu la prima nel suo genere a essere costruita e Tamerlano ne “esportò” il modello a Samarcanda.

 

L'ultimo monumento davanti al quale sostiamo è un imponente eiwan, forse di un caravanserraglio.

 

Lungo la strada che ci riporta al confine con l'Uzbekistan, pascolano alcuni splendidi esemplari di  Akhal-Teké, il "cavallo celeste" di cui il Turkmenistan va giustamente fiero.

 

 A rimettere piede sul suolo uzbeko ci mettiamo “solo” un'ora e mezza, e poco prima delle 20 “approdiamo” al Khorezm Palace. Una rapida doccia e poi tutti a cena!:-)

 

Lunedì 23 giugno 2008:

 

Intorno alle 9 arriviamo alla Ota Darvoza (Porta del Padre), ovvero l'ingresso occidentale dell'Itchan Kala, la cittadella interna della mitica Khiva. Nulla, però, è rimasto della frenesia di un tempo, quando questo era uno dei principali mercati di schiavi dell'Asia Centrale. Quanto dolore devono aver visto queste mura! Ma negli Anni Settanta e Ottanta del Novecento, le autorità sovietiche decisero di trasformare il centro storico di Khiva in una “città-museo”, impeccabilmente conservata ma un po' finta, a mio avviso, come se ci si muovesse su un set cinematografico.

 

Nel corso della giornata, con frequenti intermezzi nell'ombroso cortile della chaikhana “Farrukh”, visitiamo la Kunya Ark, residenza dei signori di Khiva (XII-XVII sec.), con la sua magnifica moschea estiva, la zecca, la sala del trono e un piccolo museo archeologico; numerose madrase, per lo più ottocentesche, fra le quali quella di Amin Khan (1852), che è stata trasformata in albergo e vicino alla quale si erge il Kelte Minor (minareto corto), e quella di Mohammed Rakhim Khan, con il museo a lui dedicato; la particolarissima Moschea del Venerdì (1788), dalle 213 colonne di legno squisitamente intarsiate, alcune delle quali portate qui dall'India; il mausoleo di Paklhavan Mahmud; l'harem rivestito di piastrelle azzurre e dai bei soffitti dipinti del Tosh Howli, residenza di uno degli ultimi khan; il caravanserraglio, di lunedì, è invece chiuso al pubblico.

 

Nel tardo pomeriggio, quando la calura comincia leggermente a scemare, è piacevole bighellonare nelle viuzze laterali o lungo le mura.

 

Ceniamo in modo egregio al ristorante “Ruzmet Aka”, subito fuori le mura dell'Itchan Kala, per poi dirigerci verso l'aeroporto di Urgench, dove ci imbarcheremo sul volo delle 23,05 per Tashkent.

 

Martedì 24 giugno 2008:

 

Concludiamo il nostro viaggio in terra uzbeka con un'interessantissima visita al Museo Storico del Popolo dell'Uzbekistan, la cui sezione archeologica, al primo piano, è ricchissima di reperti di notevole livello.

 

Troviamo qui gli originali di diverse opere già viste nei musei provinciali, come quelli di Termez o di Fayaz Tepe (Buddha con due monaci, frammenti di affreschi, bassorilievi greco-battriani...), o pezzi che ammiriamo per la prima volta, come un raffinatissimo amuleto del II secolo a forma di serpente a due teste, proveniente dalla valle di Ferghana.

 

Pranziamo al “Café Xumor”, prima di recarci all'aeroporto di Tashkent, dove ci accomiatiamo da Nutik. Facciamo il check-in in “ordine sparso” e nello stesso modo passiamo i numerosi controlli doganali, di sicurezza, dei passaporti (apparentemente le autorità uzbeke non sono contente finché non hanno controllato la stessa cosa almeno tre volte...). Fedele a se stesso, Pietro non controlla che al gate il gruppo sia presente al completo, e il volo per Malpensa viene ritardato di quasi mezz'ora proprio perché manca all'appello uno di noi, che finalmente sale a bordo tutto trafelato.

 

Stavolta l'aereo, un Airbus 310, è decisamente più recente, ed è strapieno di Indiani (quanto sono belle e aggraziate, le giovani donne in sari!). Il personale di bordo, per quanto è scorbutico, dev'essere stato addestrato da Alitalia.:-)

 

Dopo sette ore di volo, atterriamo a Malpensa. Salutati i nostri compagni di viaggio e recuperati i bagagli, ci facciamo venire a prendere da un bus-navetta del parcheggio “Malpensa 2000” e per le 23 siamo finalmente a casa.

 

 

 

INFO PRATICHE

 

Alberghi

 

Tashkent, Dedeman Silk Road, http://www.dedeman.com/Tashkent.aspx

 

Termez, Hotel Meridian, http://www.orexca.com/termez_hotels_meridian.shtml

 

Samarcanda, Afrasiab Palace, http://www.eastlinetour.com/uzbekistan/samarkand/hotels/hotel_afrosiob_palace.html

 

Bukhara, Hotel Asia, http://asiahotels.marcopolo.uz/bukhara

 

Urgench, Khorezm Palace, http://www.orexca.com/urgench_hotels_domina.shtml

 

 

Ristoranti:

 

Abbiamo pranzato diverse volte in case private trasformate in “ristoranti senza insegna”. Si trovano in genere in stradine laterali, spesso periferiche, non facili da trovare.

Considerazioni spicciole sulla cucina uzbeka: ottimi gli spiedini cotti sulla brace (agnello, pollo, manzo...), quasi sempre accompagnati da riso bianco. Le zuppe le abbiamo trovate, in genere, un po' troppo unte. Frutta e verdure squisite, in particolar modo pomodori, albicocche e ciliege. L'anguria viene venduta OVUNQUE. Buono lo yogurt e fantastici, prevedibilmente, i succhi di frutta. Gianluca ha trovato ottima la vodka e discreta la birra. I vini locali, almeno da una prospettiva piemontese:-), sono a nostro avviso da evitare. Superfluo dire che il tè - verde o nero - è buonissimo e viene servito a ogni pasto (e anche fuori pasto, naturalmente!).

Carla Polastro

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